_News

Fermiamo il bla bla bla…Ambientalismo di facciata o vero Green Marketing

Di Green Marketing se ne parla sempre di più ma, molto spesso, i brand lo fanno solo per dipingersi come non sono. Un ambientalismo di facciata così sfruttato che ormai tutti lo riconoscono come Greenwashing (una strategia, utilizzata fin dagli anni Settanta, per costruirsi un’immagine ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale) o, più recentemente, come il Bla, bla, bla evocato da Greta Thunberg, che stigmatizza chi parla invece di agire.

Per questo motivo abbiamo pensato che avesse senso far parlare alcuni casi emblematici del vero Green Marketing, efficaci non solo per catturare l’attenzione del grande pubblico ma per fare davvero la differenza rispetto ai concorrenti.

Prima di esporli, vorremmo però chiarire una cosa. Se l’obiettivo è quello di indurre, nel lungo termine, un cambiamento negli stili di vita e di consumo di tutti noi, crediamo allora che il green marketing debba smettere di essere associato a singole attività e comunicazioni finalizzate alla commercializzazione di specifici prodotti in grado di generare un minore impatto ambientale.
Piuttosto, secondo noi, andrebbe inteso e utilizzato per definire l’intera immagine del proprio brand, e costruire così una proposta di valore che non sia legata esclusivamente agli utili e ai guadagni.

Patagonia

Conosciamo tutti il Black Friday: il venerdì successivo al giorno del Ringraziamento che inaugura la stagione degli shopping natalizi e in cui le aziende si scapicollano, tra campagne di comunicazione e sconti vantaggiosi, con lo scopo di attirare una grande mole di clienti. Il nome, infatti, pare faccia riferimento alle annotazioni sui libri contabili dei commercianti che tradizionalmente passavano dal colore rosso (perdite) al colore nero (guadagni).

Nel 2011, tuttavia, un’azienda scardinò le regole del marketing, il cui scopo è promuovere l’acquisto, per fare l’esatto contrario: Patagonia, il brand fondato nel 1973 dal climber di fama internazionale Yvon Chouinard, famoso per produrre capi di abbigliamento outdoor di alta qualità per amanti dello sport e della natura.
Come? Pubblicando un annuncio sul New York Times il giorno del Black Friday con la foto del proprio capo più venduto accompagnato dal claim in caratteri cubitali “Non comprate questa giacca”.

In fondo alla pagina venivano elencati i costi ambientali per produrre una singola giacca, assieme a un vademecum con suggerimenti e buone abitudini indirizzato ai propri clienti per impattare meno sull’ambiente. Su questa linea, infatti, negli anni successivi Patagonia lanciò anche dei servizi di riciclo e mise a disposizione dei propri clienti le linee guida per riparare autonomamente i propri capi, oltre che tour organizzati in cui i furgoncini Patagonia percorrevano in lungo e in largo l’America per offrire un servizio di riparo a domicilio per capi Patagonia e non.
Il messaggio era chiaro, seppur apparentemente controproducente: ne hai davvero bisogno o puoi farne a meno? L’annuncio, nonostante non riuscì nel suo scopo – le vendite aumentarono del 30% dopo la campagna -, aumentò la consapevolezza di un problema sempre più pressante.

Nell’era del consumismo sfrenato, in cui il nostro standard di vita è spesso additato tra i principali responsabili dei cambiamenti climatici, questo tipo di comunicazione servì a sensibilizzare i clienti sui costi ambientali dell’industria tessile, e a posizionare Patagonia tra i vertici dei brand green, tanto che oggi è conosciuta per essere una delle aziende più sostenibili del mondo, con capi destinati a durare nel tempo, grazie alla sua attenzione nell’uso dei materiali e per le condizioni di lavoro dei suoi dipendenti, assicurati dalla certificazione fair-trade dei suoi capi.

Non perdete il prossimo numero di The Orange News.
Già la prossima settimana torneremo a parlare di questo argomento con un’interessante case history dedicata a Saltwater Brewery, una piccola realtà americana…un grandissimo esempio di Green marketing.